L’eresia fece deglutire a fatica molti spettatori.
In un lago vi è una sorta di villaggio turistico organizzato in casette galleggianti di diversi colori dove la gente passa il tempo pescando e riposando. Esso è gestito da Hee-jin, una ragazza bella e silenziosa che affitta le casette, le pulisce, fornisce le attrezzature ai pescatori e li assiste con cibo, batterie per la luce e con la sua barca funge da traghettatrice sia degli alloggiati, sia per le persone che vengono a far loro visita, generalmente prostitute. Uno dei suoi clienti è un uomo in fuga dopo l’omicidio di una coppia. L’uomo medita il suicidio, e arriva quasi a compierlo quando la polizia arriva sulle sue tracce, ma Hee-jin lo salva; tra i due si instaura un rapporto di attrazione, ma a tratti violento, fino a quando una prostituta che conosce l’uomo lo va a trovare e inizia a mostrare dell’interesse affettivo.
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Bio del regista
Kim Ki-duk.
Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, dal 2003 per l’esattezza, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale. Parliamo di una violenza che, a differenza di tanto cinema contemporaneo, non appare mai fine a se stessa ma, piuttosto, inglobata all’interno di un quadro più grande ed elevato che è quello dell’analisi dell’animo umano.
Nato nel 1960 a Bonghwa, piccolo villaggio della Corea del Sud, a nove anni si trasferisce a Seoul, dove frequenta una scuola di avviamento professionale al settore agricolo. Abbandonati gli studi per problemi familiari si arruola, all’età di vent’anni, nell’esercito. Parentesi altrettanto importante è quella che lo vede avvicinarsi alla religione. L’arte però, altra passione coltivata negli anni, lo trascina violentemente fuori dal suo passato, portandolo a intraprendere un viaggio nel vecchio continente dal sapore bohemien per poi ritornare in Corea nel 1992.
Trascorsi quasi tre anni scrivendo sceneggiature, Kim accetta di cimentarsi nella regia pur non avendo mai avuto esperienza di set. La sua quarta opera, L’isola(2000), rappresenta l’apice di questa prima parte della carriera. La pellicola, infatti, oltre ad essere presentata a Venezia e al Sundance, condensa quell’idea di cinema basata sull’astrazione e sulla quasi totale assenza di un contesto dominante per le storie messe in scena. Nel 2001, invece, realizza Bad Guy, presentato l’anno successivo al Far East Film Festival di Udine, nel quale passato e presente si mescolano e fondono in modo tale da far perdere il concetto stesso di realtà nei meandri della storia.
È il 2003 l’anno della cosiddetta maturità artistica che in Kim trova forma ed espressione in Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, pellicola che si discosta dalla durezza delle precedenti ma che, allo stesso tempo, contiene un forte equilibrio visivo e narrativo, tanto da consacrare definitivamente il suo autore in tutta Europa. L’anno successivo realizza La Samaritana, film che riporta a galla forti tematiche come la prostituzione e che gli vale l’Orso d’argento a Berlino per la regia. Autore volitivo e in continua eruzione, Kim nello stesso anno porta in scena Ferro 3, anch’esso energicamente legato alle tematiche giovanili tanto da diventarne in un certo qual modo summa artistica e personale. Il film non tarda ad essere apprezzato, ricevendo il Leone d’argento a Venezia nel 2004. Nei due anni successivi realizza L’arco (2005) e Time(2006), pellicole che in maniera diametralmente opposta analizzano la profondità dell’amore. Negli anni successivi si susseguono i film Soffio (2007), Dream(2008) e Amen (2011). Dopo un periodo di depressione (raccontato in Arirang), Kim Ki-duk torna a Venezia nel 2012 (vincendo il Leone d’Oro con Pietà) e poi, ancora, nel 2013 con Moebius.
- Dello stesso regista
Biografia
Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, dal 2003 per l’esattezza, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale.