L’arco – Tucker Film
L’arco

Una nuova parabola morale, giocata su un registro allegorico, da cui emergono ermetici e talora ambigui significati.

Virgolette
- Emanuele Sacchi, MyMovies -
Sinossi.

Una ragazza di sedici anni e un uomo di sessant’anni vivono insieme su una barca ormeggiata in modo permanente. Il vecchio ha cresciuto la ragazza fin da quando era bambina e ora lei è quasi diventata una donna. Il sessantenne gode di una salute invidiabile per la sua età e usa il suo arco per proteggere la ragazza dagli uomini che vivono sulla terraferma. Il vecchio ha intenzione di sposare la ragazza quando compirà 17 anni, ma altri uomini della zona hanno messo gli occhi su di lei.

  • Bio del regista
    Kim Ki-duk.

    Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, dal 2003 per l’esattezza, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale. Parliamo di una violenza che, a differenza di tanto cinema contemporaneo, non appare mai fine a se stessa ma, piuttosto, inglobata all’interno di un quadro più grande ed elevato che è quello dell’analisi dell’animo umano.

    Nato nel 1960 a Bonghwa, piccolo villaggio della Corea del Sud, a nove anni si trasferisce a Seoul, dove frequenta una scuola di avviamento professionale al settore agricolo. Abbandonati gli studi per problemi familiari si arruola, all’età di vent’anni, nell’esercito. Parentesi altrettanto importante è quella che lo vede avvicinarsi alla religione. L’arte però, altra passione coltivata negli anni, lo trascina violentemente fuori dal suo passato, portandolo a intraprendere un viaggio nel vecchio continente dal sapore bohemien per poi ritornare in Corea nel 1992.

    Trascorsi quasi tre anni scrivendo sceneggiature, Kim accetta di cimentarsi nella regia pur non avendo mai avuto esperienza di set. La sua quarta opera, L’isola(2000), rappresenta l’apice di questa prima parte della carriera. La pellicola, infatti, oltre ad essere presentata a Venezia e al Sundance, condensa quell’idea di cinema basata sull’astrazione e sulla quasi totale assenza di un contesto dominante per le storie messe in scena. Nel 2001, invece, realizza Bad Guy, presentato l’anno successivo al Far East Film Festival di Udine, nel quale passato e presente si mescolano e fondono in modo tale da far perdere il concetto stesso di realtà nei meandri della storia.

    È il 2003 l’anno della cosiddetta maturità artistica che in Kim trova forma ed espressione in Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, pellicola che si discosta dalla durezza delle precedenti ma che, allo stesso tempo, contiene un forte equilibrio visivo e narrativo, tanto da consacrare definitivamente il suo autore in tutta Europa. L’anno successivo realizza La Samaritana, film che riporta a galla forti tematiche come la prostituzione e che gli vale l’Orso d’argento a Berlino per la regia. Autore volitivo e in continua eruzione, Kim nello stesso anno porta in scena Ferro 3, anch’esso energicamente legato alle tematiche giovanili tanto da diventarne in un certo qual modo summa artistica e personale. Il film non tarda ad essere apprezzato, ricevendo il Leone d’argento a Venezia nel 2004. Nei due anni successivi realizza L’arco (2005) e Time(2006), pellicole che in maniera diametralmente opposta analizzano la profondità dell’amore. Negli anni successivi si susseguono i film Soffio (2007), Dream(2008) e Amen (2011). Dopo un periodo di depressione (raccontato in Arirang), Kim Ki-duk torna a Venezia nel 2012 (vincendo il Leone d’Oro con Pietà) e poi, ancora, nel 2013 con Moebius.

  • Dello stesso regista

Locandina del film

Biografia

- dalla biografia del regista -
Kim Ki-duk.

Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, dal 2003 per l’esattezza, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale.