Un film squisitamente semplice.
Nessuno è immune al potere delle stagioni e al loro ciclo annuale di nascita, crescita e decadimento. Nemmeno i
due monaci che condividono un eremo galleggiante su uno stagno circondato dalle montagne. Con il susseguirsi delle stagioni, ogni aspetto della loro vita è pervaso da un’intensità che li conduce entrambi a una maggiore spiritualità, ma anche alla tragedia. Perché anche loro non riescono a sfuggire al richiamo della vita, ai desideri, alle sofferenze e alle passioni che attanagliano ognuno di noi. Sotto lo sguardo attento del Monaco Anziano, un Monaco Giovane sperimenta la perdita dell’innocenza quando il gioco si trasforma in crudeltà… il risveglio dell’amore quando una donna entra nel loro mondo chiuso… il potere omicida della gelosia e dell’ossessione… il prezzo della redenzione… l’illuminazione dell’esperienza. Proprio come le stagioni continueranno ad alternarsi fino alla fine dei tempi, così l’eremo rimarrà sempre una dimora per lo spirito, sospeso tra il presente e l’eternità…
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Note di regia
Intendo rappresentare la gioia, la rabbia, il dolore e il piacere delle nostre vite attraverso le quattro stagioni e attraverso la vita di un monaco che vive in un tempio circondato solo dalla natura sul lago Jusan. Cinque storie di un monaco bambino, un monaco ragazzo, un monaco adulto, un monaco anziano e un monaco vecchio coesisteranno con immagini di ogni stagione. Le qualità mutevoli degli esseri umani viventi, il significato della maturità nelle nostre vite che si formano e si sviluppano, la crudeltà dell’innocenza, l’ossessione dei desideri, il dolore delle intenzioni omicide e l’emancipazione nelle lotte.
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Bio del regista
Kim Ki-duk.
Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, dal 2003 per l’esattezza, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale. Parliamo di una violenza che, a differenza di tanto cinema contemporaneo, non appare mai fine a se stessa ma, piuttosto, inglobata all’interno di un quadro più grande ed elevato che è quello dell’analisi dell’animo umano.
Nato nel 1960 a Bonghwa, piccolo villaggio della Corea del Sud, a nove anni si trasferisce a Seoul, dove frequenta una scuola di avviamento professionale al settore agricolo. Abbandonati gli studi per problemi familiari si arruola, all’età di vent’anni, nell’esercito. Parentesi altrettanto importante è quella che lo vede avvicinarsi alla religione. L’arte però, altra passione coltivata negli anni, lo trascina violentemente fuori dal suo passato, portandolo a intraprendere un viaggio nel vecchio continente dal sapore bohemien per poi ritornare in Corea nel 1992.
Trascorsi quasi tre anni scrivendo sceneggiature, Kim accetta di cimentarsi nella regia pur non avendo mai avuto esperienza di set. La sua quarta opera, L’isola(2000), rappresenta l’apice di questa prima parte della carriera. La pellicola, infatti, oltre ad essere presentata a Venezia e al Sundance, condensa quell’idea di cinema basata sull’astrazione e sulla quasi totale assenza di un contesto dominante per le storie messe in scena. Nel 2001, invece, realizza Bad Guy, presentato l’anno successivo al Far East Film Festival di Udine, nel quale passato e presente si mescolano e fondono in modo tale da far perdere il concetto stesso di realtà nei meandri della storia.
È il 2003 l’anno della cosiddetta maturità artistica che in Kim trova forma ed espressione in Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, pellicola che si discosta dalla durezza delle precedenti ma che, allo stesso tempo, contiene un forte equilibrio visivo e narrativo, tanto da consacrare definitivamente il suo autore in tutta Europa. L’anno successivo realizza La Samaritana, film che riporta a galla forti tematiche come la prostituzione e che gli vale l’Orso d’argento a Berlino per la regia. Autore volitivo e in continua eruzione, Kim nello stesso anno porta in scena Ferro 3, anch’esso energicamente legato alle tematiche giovanili tanto da diventarne in un certo qual modo summa artistica e personale. Il film non tarda ad essere apprezzato, ricevendo il Leone d’argento a Venezia nel 2004. Nei due anni successivi realizza L’arco (2005) e Time(2006), pellicole che in maniera diametralmente opposta analizzano la profondità dell’amore. Negli anni successivi si susseguono i film Soffio (2007), Dream(2008) e Amen (2011). Dopo un periodo di depressione (raccontato in Arirang), Kim Ki-duk torna a Venezia nel 2012 (vincendo il Leone d’Oro con Pietà) e poi, ancora, nel 2013 con Moebius.
- Dello stesso regista
Biografia
Tacciato in patria di essere un visionario e osannato, invece, nel vecchio continente, Kim Ki-duk sembra aver trovato in Europa quell’America che ancora tarda ad accoglierlo. Distribuite in Italia solo di recente, dal 2003 per l’esattezza, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale.